Quarant’anni e un giorno. È questo il tempo che è trascorso dalla data di pubblicazione di “The dark side of the moon” l’album celebrativo di una delle band più importanti della scena musicale di tutti i tempi, i Pink Floyd. Il 1 Marzo del 1973 il quartetto inglese entrava nella storia dalla porta principale, attraverso un disco che per vendite è secondo solo a “Thriller” di Michael Jackson – l’inarrivabile capolavoro del Re del Pop – e la colonna sonora di “Grease” – film cult di un’intera generazione .
L’ottavo album dei Pink Floyd è una vera pietra miliare della discografia mondiale, capace di stazionare stabilmente nella Billboard, la classifica musicale made in Usa per ben 741 settimane. Come dire, questo album è come il buon whisky d’annata, più invecchia e più piace. Proprio come il whisky invecchiato, per il quale bastano poche gocce che scendono giù, dritte allo stomaco e sentire il fuoco che arde, così è l’indiscussa opera d’arte del gruppo inglese: bastano pochi minuti di ascolto per sentire la fiamma della psichedelia che prende piede.
Il potere evocativo che sprigiona ogni singola nota di ogni singola canzone dell’album, riesce a trasportare l’ascoltatore in una dimensione parallela, una dimensione in cui la chitarra di David Gilmour si fonde, come metallo fuso, alla visionarietà di Roger Waters, al sobrio equilibrio di Nick Mason e all’essenzialità del compianto Richard Wright. Un mix unico e irripetibile, dai risvolti indefiniti, proprio come un prisma che filtra un raggio di luce e produce una policromia indeterminata.
Come il prisma possiede in sé molteplici sfaccettature, così è l’anima di “The Dark Side of the Moon”, capace di mettere a nudo le sovrastrutture di chi lo ascolta, per metterlo dinanzi al senso di vacuità. Il disco non è un prodotto “take away”, non si presta al consumo immediato, come il cibo da fast food. Il suo è un ascolto meditato, pensato, coltivato. Bisogna prendersi del tempo per ascoltarlo, per lasciarsi ascoltare. A distanza di quarant’anni è ancora attuale, ha delle chiavi di lettura ancora da interpretare. A discapito di qualche denigratore, non è soltanto un prodotto figlio del suo tempo, frutto di un periodo di paura verso lo stress della vita moderna, dell’arrivismo a tutti i costi e della sete di denaro. Dentro c’è anche tanta sperimentazione, lungimiranza, necessità di superare i propri limiti. Il segreto del suo successo è alla portata di tutti, un dato tangibile e incontrovertibile.
Il “lato oscuro della luna” è di un’attualità sconvolgente, fuori dal tempo ma allo stesso modo immerso nel tempo, quello di ieri come quello di oggi. La paura che viveva la generazione dei figli dei fiori è la stessa che viviamo oggi, seppur in salsa diversa. Le contraddizioni insite nel fare denaro ad ogni costo è frutto di scellerate logiche attuali adesso come in passato.
E cosa dire del tema ricorrente della follia? Quel crogiolo di emozioni che crea l’alterità, la diversità. Ma le stesse emozioni non sono vive adesso, ogniqualvolta cerchiamo di fuoriuscire dal pensiero dominante? L’ascolto attento del disco, oggi come allora, produce lo stesso effetto, la stessaidentica misticità e spettacolarità, la stessa forza centrifuga che ci catapulta in una direzione parallela, inesplorata. Proprio come il lato oscuro della luna, celato apparentemente all’occhio umano, nascosto dalla prospettiva di chi guarda solo con gli occhi della materialità. Per comprendere appieno la tracklist dell’album è necessario abbassare le barriere dei cinque sensi per lasciarsi trasportare nel mondo dell’ignoto, nel mondo onirico del nostro immaginario.
Buon compleanno “The Dark Side of the Moon”, ovvero, come avere quarant’anni e non sentirli!
Dario Cataldo
Articolo pubblicato su www.globusmagazine.it
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