Nella settimana
cinematografica appena trascorsa, tra il marasma dei film accessibili negli
avveniristici cinema multisala, una pellicola ha attirato la mia attenzione:
Upside Down. Critiche discordanti hanno accompagnato l’uscita e la diffusione
del film in sala. C’è chi lo giudica come un piccolo capolavoro scenico, in cui
gli effetti speciali recitano una parte da protagonista; c’è chi ritiene di
scontato risvolto l’intreccio amoroso nato tra gli interpreti Jim Sturgess e Kirsten Dunst. Beh, l’opera
del regista Juan Solanas – di cui è anche sceneggiatore – si presta a
molteplici punti di vista.
La storia romantica tra due ragazzi che vivono in
mondi paralleli e speculari; una sorta di Romeo e Giulietta in chiave moderna e
dai risvolti fantascientifici; la finzione che supera la realtà e via
discorrendo.
Al di là del romanticismo che inebria tutta la pellicola,
dell’amore che vince e supera gli ostacoli, è rilevante a mio parere, come nel
contesto in cui si svolgono i fatti, sia possibile rintracciare non solo la
metafora della contrapposizione tra società, ma nello specifico tra il Nord e
il Sud del mondo, così come il Nord del nostro paese e il Mezzogiorno, la
Sicilia. Sembra una tesi quasi ardita, azzardata. Una visione attenta ed analitica
del film può suffragare la teoria. Pensiamoci bene, la storia comincia con la
voce fuori campo che spiega il perché, all’interno dello stesso sistema solari,
ci siano due pianeti che ruotano nella stessa orbita, l’uno parallelo
all’altro, l’uno speculare all’altro, o quasi. Già, quasi! In realtà non sono
per niente identici. Il mondo di sopra è ricco, arrogante e protervo. Quello di
sotto è povero, dimesso e sfruttato. Le materie prime presenti nel mondo
inferiore sono pagate pochissimo dagli sciacalli del mondo superiore, per poi
lavorarle, raffinarle e venderle ai reietti subalterni, ad un prezzo
quadruplicato. Il tutto, con danni ambientali che soltanto il mondo subalterno
paga. Nella pellicola, il mondo di giù appare come un mucchio di macerie tetre
e desolate rispetto al florido mondo si su.
Perché tutto ciò sembra un film già
visto, una sceneggiatura già letta? Il Mezzogiorno, la Sicilia, non sono forse
il terreno di caccia preferito per depredare quanto di meglio offre il
territorio? Sin dai fasti dell’Impero Romano, la soleggiata Trinacria non era
considerata come il granaio di Roma, l’isola dalla quale prendere senza mai
dare? Il Leitmotiv non si è protratto lungo i secoli, per arrivare ai giorni
nostri, in cui la Sicilia si scopre importante solo in campagna elettorale?
Cosa dire del petrolio e del depauperamento dell’ambiente! Non è forse vero che
circa un terzo delle attività di ricerca petrolifera passano dal territorio
siciliano? Ma a quale prezzo! L’isola di Favignana, un tempo teatro di mattanza
del tonno, quella di Pantelleria dalle antiche spiagge ridenti, Marsala,
Sciacca e le coste di Pozzallo, sono tutti esempi di come si possa sfruttare
l’ambiente per il proprio tornaconto. Le zone citate sono territorio di caccia
per le compagnie petrolifere, il giardino dal quale attingere frutti, tutto
fuorché proibiti.
Ma i siciliani, cosa ne ricavano? Un pugno di mosche, un
piatto di lenticchie servito freddo e scondito. Non è forse vero che dagli
affari petroliferi, la Sicilia avrebbe il sacrosanto diritto di pretendere più
rispetto, più legittimazioni? Non è forse vero che la Regione dovrebbe avere
mandato per incassare una parte delle accise del petrolio raffinato nel suo
territorio? La realtà è ben diversa; come in Upside Down, il mondo è capovolto.
La contrapposizione tra le classi egemoni e quelle subalterne incrementa un
divario tra il Nord e Sud del mondo, un divario che assume sempre più le
proporzioni di una voragine. Sarebbe opportuno fermarsi a riflettere, togliere
il piede dall’acceleratore e accostare la macchina. Il Mezzogiorno, la Sicilia,
non può essere tappa obbligata solo perché il Porcellum le relega un posto di
primo piano per le sorti di Palazzo Madama. La Sicilia non può continuare ad
essere ignorata, oltraggiata e depauperata all’infinito. I suoi abitanti sono
allo stremo delle forze; attanagliati da una morsa sempre più stretta, i
siciliani aspettano quella ripresa economica procrastinata da tempi immemori.
Alla fine del film, il lieto fine lascia intravedere un risvolto positivo, un
barlume di speranza affinché le cose possano cambiare. Uscendo dalla sala
cinematografica, la stessa sensazione è possibile intravederla nella vita
reale?
Dario Cataldo
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